QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

FRANCESCO CRISPI

Francesco Crispi (Ribera, Agrigento, 1818 – Napoli 1901) fu uno statista molto discusso giù dai contemporanei, anche per la varietà degli atteggiamenti politici assunti nella sua lunga vita.
Fu infatti personaggio di spicco fra i democratici siciliani attivi nelle cospirazioni mazziniane, poi segretario di Stato di Garibaldi in Sicilia dopo l’impresa dei Mille, da lui sollecitata e favorita, quindi deputato della sinistra al Parlamento, anticlericale e sostenitore del suffragio universale, poi ancora monarchico e autorevole rappresentante della sinistra moderata al potere.
Appartenente a una famiglia della borghesia commerciale, fu il primo uomo politico meridionale a occupare la presidenza del consiglio. Gli anni dei due primi governi di Crispi (agosto 1887 – febbraio 1891) furono segnati da importanti decisioni in tutti gli ambiti della vita nazionale:
- in politica estera, con il potenziamento della scelta a favore della Triplice alleanza, l’inizio della guerra commerciale con la Francia e l’avvio, dopo la sconfitta di Dogali (26 gennaio 1887), di una decisa politica coloniale per risollevare l’”onore militare” dell’Italia intensificando le conquiste in Etiopia;
- in politica economica, con la svolta in senso protezionistico;
- in politica interna, Crispi si impegnò in un’opera legislativa senza precedenti nella storia dello Stato unitario. Suoi obiettivi prioritari furono il rafforzamento dell’apparato centrale dello Stato e del potere esecutivo e la creazione di un’amministrazione efficiente, in grado di andare incontro anche ad alcuni bisogni fondamentali della popolazione.
La carriera politica di Crispi, improntata a metodi autoritari, come dimostrò la dura repressione dei Fasci siciliani, fu solo in parte compromessa dallo scandalo della Banca romana. Il suo declino fu causato dagli esiti della politica coloniale, e in particolare dallo scacco subito in Etiopia con l’eccidio di Adua (marzo 1896).

GIOACCHINO ROSSINI

Nato a Pesaro il 29 febbraio 1792, Rossini esordì come compositore al Teatro San Moisè di Venezia nel 1810 con l’opera comica La cambiale di matrimonio. Per tredici anni dominò le scene italiane, per le quali compose oltre trenta opere tra buffe, serie e semiserie. Fra i successi più notevoli di questo periodo vi furono la farsa giocosa Il signor Bruschino o il figlio per azzardo, rappresentata al San Moisè di Venezia nel gennaio 1813, l’opera buffa Il barbiere di Siviglia, rappresentata al Teatro Argentina di Roma il 20 febbraio 1816, il melodramma realistico La gazza ladra, rappresentato alla Scala di Milano il 31 maggio 1817, e il melodramma tragico Semiramide, rappresentato alla Fenice di Venezia il 3 febbraio 1823. Nel 1822 Rossini lasciò la direzione del Teatro San Carlo di Napoli, alla quale era stato chiamato nel 1815, e iniziò un lungo viaggio trionfale in Europa, che lo portò a Vienna, a Londra e infine a Parigi. Nella capitale francese assunse la direzione del Théatre del Italiens e riscrisse due lavori nel periodo napoletano, la tragedia lirica L’assedio di Corinto (1826) e il melodramma sacro Mosè (1827). Con il melodramma tragico in quattro atti Guglielmo Tell, rappresentato all’Opéra di Parigi il 3 agosto 1829, Rossini, giunto al culmine di una precoce e brillante carriera, cessò improvvisamente di produrre per il teatro e, circondato dalla venerazione dei musicisti contemporanei, si limitò a scrivere pezzi di musica sacra, vocale e da camera e composizioni scherzose. Morì a Passy, presso Parigi, il 23 novembre 1868, e la sua salma venne traslata nella chiesa di Santa Croce a Firenze nel 1887.

LA LEGGE DELLE GUARENTIGIE

Ispirata al principio cavouriano della separazione dello Stato dalla Chiesa (“libera Chiesa, in libero Stato”), la legge, divisa in due parti, “Delle prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede” (articoli 1-14) e “Relazioni della Chiesa con lo Stato in Italia” (articoli 15-19), consta di 20 articoli: i primi otto relativi alle prerogative del papa, dal 9 al 13 alla libertà di comunicazione della Santa Sede con i fedeli del mondo, con il clero e con i governi stranieri, dal 14 al 19 alle relazioni tra la Chiesa e lo Stato in Italia. L’art. 20 abroga ogni disposizione di legge precedente e contraria. Nella sostanza la prima parte sancisce l’immunità dei luoghi residenziali del pontefice (i palazzi del Vaticano e del Laterano e la villa di Castelgandolfo), assegna alla Santa Sede una dotazione di 3.225.000 lire, pari a quella a cui godeva al tempo del potere temporale, assicura l’inviolabilità della persona del pontefice, gli attribuisce onori sovrani e il diritto di tenere guardie armate, gli consente il libero esercizio del potere spirituale, la piena facoltà di comunicare in Italia e all’estero e la facoltà di ricevere e inviare ambasciatori. La seconda parte riconosce l’indipendenza del clero da ogni controllo regio, abolendo il giuramento dei vescovi al re e ogni restrizione al diritto di riunione dei membri del clero. Respinta da Pio IX il 15 maggio 1871, la legge, nonostante il mancato riconoscimento del papa e l’assenza di rapporti diplomatici tra le due parti, rimase in vigore fino al concordato del 1929.

 

LUIGI EINAUDI

Luigi Einaudi, il primo capo dello Stato eletto dal Parlamento repubblicano, era nato a Carrù (CN) il 24 marzo 1874. Laureatosi in legge, nel 1902 era già docente di scienza delle finanze all’università di Torino. Due anni dopo passò a insegnare la stessa materia alla Bocconi di Milano ed ebbe l’incarico di economia politica e legislazione industriale presso la scuola di ingegneria del Politecnico milanese. Nell’ottobre del 1919 Francesco Saverio Nitti lo nominò senatore del Regno. Collaboratore del “Corriere della sera”, lasciò la prestigiosa testata quando il fascismo costrinse al ritiro la direzione Albertini. Dal 1908 al 1935 fu direttore della rassegna mensile “La Riforma sociale”, anch’essa chiusa per volere del regime. Dette quindi vita alla “Rivista di storia economica”. Dopo il 25 luglio 1943 fu chiamato a rivestire la carica di rettore dell’ateneo torinese e riprese a collaborare al “Corriere”. All’annuncio della firma dell’armistizio, l’8 settembre, riparò in Svizzera, dove l’università di Ginevra gli offrì una cattedra. Rientrato in Italia, dal 5 gennaio 1945 fino all’elezione a presidente della repubblica fu governatore della Banca d’Italia. Eletto nelle file del PLI alla Costituente, nella veste di vicepresidente del consiglio e di ministro del bilancio del IV ministero De Gasperi fu l’artefice della politica economica tesa a stabilizzare la lira attraverso una severa stretta creditizia. Il suo settennato al Quirinale si caratterizzò per un’estrema correttezza istituzionale. Morì a Roma il 30 ottobre 1961. Dopo i funerali di Stato la sua salma venne traslata nel cimitero di Dogliani (CN).