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1858: LA MORTE DI RADETZKY

Radetzky, il boia. A generazioni intere di studenti italiani questo nome ricorda le sconfitte di Custoza e Novare, le durissime repressioni in Veneto e Lombardia, le forche austriache contro i nostri patrioti. Come si può dire per molti personaggi storici, è tutto vero: però non è tutto. Effettivamente questo soldato boemo dalla lunghissima vita, nato un quarto di secolo prima della Rivoluzione francese e morto a 92 anni nel 1858, fu il maggiore avversario dell'unità d'Italia. Visto invece con occhi viennesi fu un eroe nazionale, tanto da meritare alla sua scomparsa un onore mai reso nè prima nè dopo a un cittadino d'Austria: l'imperatore Francesco Giuseppe che, sciabola alla mano, si poneva alla testa del corteo funebre.

Johann-Joseph-Franz-Karl Radetzky, conte di Radetz, aveva 18 ani quando si trovò a combattere contro i turchi. Già promosso ad alti gradi nelle battaglie napoleoniche, fece tesoro delle sconfitte inizialmente subìte mettendo a punto una strategia che doveva invertire le sorti della guerra. Chi si fosse opposto frontalmente a un genio militare come Napoleone era destinato a perdere: meglio logorarlo, magari ritirandosi nel momento giusto per poi vibrare il colpo finale. Era la medesima tecnica adottata in Russia dal generale Kutuzov e descritta alla perfezione in "Guerra e pace". Solo che a Radetzky mancò un romanziere come Lev Tolstoj, capace di esaltarne i meriti.

Così pochi seppero che la vittoria di Lipsia contro Napoleone, preludio dello scontro decisivo a Waterloo fu dovuta proprio ai piani predisposti da Radetzky. Ugualmente si tende a ignorare che, nella veste di governatore per l'Alta Italia, il generale non solo aveva previsto le lotte del Risorgimento ma vedeva assai più lontano: un futuro dominio del mondo da parte dei russi e degli americani, al quale doveva opporsi un'unione europea. Inutile dire che, per Radetzky, alla base di ogni intesa doveva restare l'impero austro-ungarico: concetto che, ponendosi dal suo punto di vista, non può certo essergli rimproverato.

Comunque, Radetzky si considerava già un pensionato allorchè la situazione italiana impose il suo richiamo nel servizio attivo. Aveva 65 anni quando lo nominarono governatore militare, ben 82 quando sconfisse i piemontesi di Carlo Alberto e riconquistò Venezia dopo uno spietato assedio. Durezze d'animo che confermò nei processi di Mantova contro i patrioti, conclusi con una serie di impiccagioni.

Eppure i suoi biografi si sentono di affermare che questo soldato, promosso Feldmaresciallo già nel 1836, amava l'Italia. Soggiornava più che volentieri a Milano, dava feste grandiose, si riempiva di debiti per restare all'altezza del suo rango. Aveva avuto perfino 4 figli da un'italiana. Gli sentivano dire che a lui bastava "impiccare preti e avvocati", ossia gli esponenti di quella borghesia che lottava per la libertà mentre, a suo parere, operati e contadini volevano solamente starsene in pace.

Quale che sia in ogni modo il giudizio storico, fu Radetzky a ritardare di decenni la nostra unità nazionale. Già battuto nel 1848 a Custoza, il re Carlo Alberto tentò ancora la sorte a Novara, l'anno seguente. La sconfitta dei piemontesi fu rovinosa. Carlo Alberto abdicò a favore del figlio e, curiosamente, chiese proprio agli austriaci il lasciapassare per la fuga. In abiti borghesi, sotto il nome di conte di Barge, se ne andò in carrozza con un solo servitore. Morì pochi mesi dopo a Oporto, in Portogallo. Il suo successore, Vittorio Emanuele II, il 24 marzo 1849 concordò a Vignale (Novara) la pace con il Feldmaresciallo. I due si abbracciarono scambiandosi regali. Radetzky lasciò scritto che l'unico sistema per evitare altre guerre era quello di non infierire sul nemico vinto.