QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

ALESSANDRO MANZONI: I PROMESSI SPOSI

Si tratta di un romanzo storico (perchè il poeta traccia un periodo di storia). Il titolo dell'opera è Fermo e Lucia (1821-1823). Insoddisfatto dell'opera la rielabora e lo pubblica con il titolo I promessi sposi, storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni: la nuova stesura è molto superiore alla prima.

L'edizione definitiva viene pubblicata tra il 1840-1842 in 54 fascicoli con vari cambiamenti, liberata la lingua da lombardismi e da francesismi per renderla più viva e pura (nel romanzo si usa la lingua dei ben parlanti fiorentini).

Il romanzo è preceduto da una prosa di un Anonimo da cui il Manzoni immagina di aver tratto la materia del suo romanzo. Si è convinti che è un espediente del Manzoni per dare un fondamento di realtà alla vicenda di Renzo e Lucia attorniati da fatti e personaggi storici.

E' il primo romanzo a carattere democratico popolare.
L'azione si svolge dal 7 novembre 1628 alla fine del 1630. Entro queste date si ricorda:
- Papa Urbano VIII Barberini
- Ferdinando II d'Asburgo imperatore del Sacro Romano Impero
- Filippo IV regna in Spagna che governa per mezzo del duca d'Olivares
- Luigi XIII regna in Francia che governa per mezzo del cardinale Richelieu
- La provincia di Milano è sotto la dominazione spagnola. Governa prima Don Gonzalo Fernandez de Gordoba, poi il marchese Ambrogio Spinola
- Federico Borromeo, nipote di San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano.

Son personaggi veri: l'Innominato (Bernardino Visconti), Federico Borromeo, la monaca di Monza (Marianna de Leyva, figlia del signore di Monza), la sommossa milanese, la calata dei Lanzichenecchi, la peste.
sono inventati tutti gli altri personaggi (Don Abbondio, Agnese, Don Rodrigo) ma l'accaduto e il fantastico si fondono in modo perfetto (teoria del verosimile).

Vi è la questione fra i critici circa il vero protagonista del romanzo.
Il Russo riallacciandosi al De Sanctis propone come protagonisti il sentimento dell'artista e il Seicento, con il suo senso del puntiglio e con quello dell'orgoglio;
Il Rizzi propone "un popolo (italiano), soggetto alla duplice tirannia dello straniero e dei prepotenti";
Il Momigliano la Provvidenza divina, sempre presente opera sugli avvenimenti, volgendo il male del mondo in bene.
Altri propongono l'umanità intera, altri lo spirito manzoniano.

La scelta del periodo storico è determinata dal Manzoni dal fatto che: il Seicento è poco conosciuto e quindi si presta meglio ad essere indagato dallo spirito di un poeta; è stata un'età di conquistati, degli umili, della servitù degli Italiani privi di coraggio, paurosi e superstiziosi, sotto un governo basato sul privilegio e sulla ingiustizia.
In tutta la narrazione lo scrittore riflette la sua concezione cristiana del mondo: una concezione in cui i motivi dominanti sono la fede nella Provvidenza e la Carità.

La Provvidenza  è per l'uomo il fondamento e la garanzia dela sua vita morale: per essa si sottrae al peso della solitudine, alla disperata ribellione di fronte alle ingiustizie, alle sopraffazioni della vita quotidiana: essa costituisce la misura delle scelte a cui l'uomo è chiamato, il fermo conforto nei momenti bui e nelle situazioni più penose dell'esistenza. La conclusione del romanzo è emblematica. I due sposi, ormai pervenuti alla felicità di una serena vita coniugale, ripensano sovente al passato; Renzo riconosce i suoi errori che causarono tanti guai; ma Lucia timidamente osserva che lei non ha fatto nulla per attirarsi tante disavventure; la semplice osservazione di Lucia investe il problema di fondo della nostra vita; perchè se di alcuni eventi, prosperi o infausti, noi possiamo riconoscerci responsabili, altri ci sembrano assolutamente indipendenti dalla nostra volontà e dalla nostra condotta. Qual'è la conclusione a cui pervengono i due sposi? "Conclusero che i guai vengono bensì spesso, perchè ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia di Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore" (cap.38).

La fiducia in Dio fa accettare anche i mali perchè mandati o permessi dal Signore per i suoi fini misteriosi: perchè il Signore "non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande".
E nella narrazione manzoniana la Provvidenza è continuamente presente, non solo nei pensieri e nelle parole di alcuni personaggi, ma nelle cose, nel corso degli eventi.

L'altro motivo è la Carità che si dispone nel romanzo su due prospettive fondamentali:
- da una parte essa si traduce in costante disposizione a lottare e operare in difesa della giustizia, della verità, a favore degli umili, degli oppressi, dei perseguitati;
- dall'altra essa si identifica con la pietà, rivolta non solo ai deboli e agli umili, ma anche ai potenti e ai sopraffattori, che con la loro condotta, si esiliano dal regno di Dio.
Non basta, per sentirci in pace con la coscienza, non fare il male occorre invece fare sempre del bene, soccorrere chi ha bisogno, lottare per il trionfo della giustizia, affrontare i prepotenti senza timore a costo di ogni sacrificio personale. E' esemplare il colloquio fra il Cardinale Federigo e don Abbondio: don Abbondio è in colpa non per aver commesso alcunchè di male, ma per non aver agito come era suo dovere, a favore dei due giovani perseguitati. Don Abbondio rappresenta il cristiano comune, conformista, disposto al cedimento e al compromesso; un cristiano che per il Manzoni è la negazione del cristianesimo. Federigo rappresenta la carità operosa, fatta di zelo, di amore, di ferma opposizione ai disegni e alle prepotenze degli oppressori e dei violenti.
La condizione umana si dispone costantemente agli occhi del Manzoni sulle due prospettive della vita terrena e di quella soprannaturale. La vita soprannaturale è per il cristiano la vera vita; la terrena si rivela nella sua essenza di miseria, di insicurezza, di provvisorietà, a cui non si sottraggono neppure i potenti. Caduchi i beni terreni, fragile e fugace la gioia del mondo, effimera la potenza (Napoleone del "Cinque maggio"); perenni e inestimabili i beni dell'anima che soli abilitano alla partecipazione alla patria celeste.

Ma sebbene il Manzoni ricordi che i conti aperti su questa terra saranno saldati nella vita soprannaturale, il suo cristianesimo nel romanzo non si risolve  in una passiva accettazione delle ingiustizie e delle prepotenze, bensì in un costante impegno di lotta.
La vita terrena, ridotta alla sua reale misura di precarietà, riacquista un suo preciso e prestigioso valore: in quanto essa è nella concezione cristiana, il palcoscenico in cui l'uomo cimenta le sue qualità e le sue disposizioni, sperimentando il proprio destino di peccato e di salvezza.
Perciò se la dimora celeste è il costante presupposto della concezione manzoniana dell'esistenza, la vita terrena è l'oggetto concreto della sua ricognizione, della sua interpretazione del reale.
Una funzione essenziale ha nel romanzo il paesaggio, nel quale di solito si riflette, lo stato d'animo dei personagi e si annunciano fondamentali motivi narrativi: dallo squallido paesaggio autunnale descritto al passaggio di frate Cristoforo al celebre "addio monti! in cui le note del paesaggio si confondono con le memorie e le speranze che si intrecciano nel cuore dei viaggiatori con la tristezza presente, ai lugubri paesaggi della campagna e della città sotto l'incubo della peste al mattutino del risveglio di Renzo.
Col romanzo lo scrittore offriva indirettamente alla società contemporanea una lezione politica. Alcuni (democratici) ritennero che il libro sotto il profilo politico svolgesse una funzione negativa in quanto sembrava favorire e giustificare la reazione e la tirannide.
In realtà I promessi sposi prospettando le squallide condizioni della popolazione sotto il dominio spagnolo, rivelavano le gravi conseguenze di ogni dominio straniero di ogni epoca.